IL BIANCO CHE AZZERA DI LORENZO PERRONE - Valentina Spinoso, 2014
“Alla fine, liberate dal peso delle parole, le pagine diventano simboli e il libro, nel suo
immobile candore, è più eloquente con la stessa forza di certi sogni che ci svegliano, ma
mai di soprassalto.” (1) Lorenzo Perrone
Lorenzo Perrone nasce nel 1944 a Milano. Dopo una formazione presso la Scuola del
Libro dell’Umanitaria e di pittura del Castello Sforzesco, e dopo aver lavorato per tanti
anni nell’ambito della pubblicità, a partire dal 2000 comincia il suo percorso nel mondo
dell’arte e dal 2004 la sua attività espositiva. Tutta la sua ricerca segue un unico fil rouge,
il libro, che tende una trama dalle molteplici sfaccettature dipinte sempre di bianco.
Le sue opere, i Libri Bianchi rappresentano per Perrone un ritorno all’origine, il desiderio
di voler raccontare non una, ma mille nuove storie, e come non farlo se non attraverso un
mezzo, il libro, che per antonomasia svolge questo compito. Tutta la sua indagine parte
da volumi editi che vengono via via spogliati del loro contenuto scritto ed ingessati
tramite un particolare procedimento mediante il quale l’oggetto disanimato viene
trasformato in materia prima, supporto del suo fare artistico. Questa è la ‘materia’ che per
Perrone diventa suscettibile ad essere declinata in una miriade di installazioni per
assurgere così alla forma di scultura vera e propria. (2)
La forma inequivocabile dell’oggetto e la sua funzione semantica sono rimasti intatti
nonostante l’invasione e l’azzeramento prodotto dalla vernice bianca. Il ruolo che gioca
questo colore nelle operazioni di Perrone è di fondamentale importanza, punto focale di
un’attenzione ormai perduta per il libro, esso ci costringe alla riflessione, attutisce rumori
e colori, lima le bave dei sensi. (3) A cavallo tra sculture e pezzi d’arredo in miniatura il
linguaggio di queste opere si manifesta nelle superfici, nelle pieghe, nei volumi, nei vuoti,
nei pieni e negli innesti che trasformano questi libri in sculture, bianchi fantasmi che
costringono alla riflessione, centri catalizzatori di nuovi significati. (4)
Il libro da strumento portatore della parola, vive una nuova vita senza di essa, ma la sua
scomparsa, dalla superficie della pagina, si limita ad una perdita solo visiva. Per eliminare
il segno verbale egli utilizza una serie di strumenti, nemici patologici del libro: anime di
metallo, colle, gesso, vernice bianca; con questi mezzi infierisce sulla povera parola, fino
a cancellarla in toto. Essa non esiste più nella realtà del visibile, ma nasce, cresce e si
sviluppa in tutte le sue molteplici forme nell’occhio e nella mente dell’osservatore,
pertanto l’invisibile verbo continua a vivere molteplici e mutevoli nuove esistenze.
L’artista parte dalla negazione di un codice, quello verbale, e su questo costruisce altri
universi di significato e diverse possibilità di relazione, e mediante l’uso del bianco
cristallizza il suo gesto in una forma eterna. (5) Nati da veri volumi antichi o contemporanei
acquistati a pochi euro nelle bancarelle o regalati da amici o conoscenti, libri ormai
scomodi ai più e privi di un contenuto di notevole rilevanza, i Libri Bianchi di Perrone
come scrive Alessandra Lucia Coruzzi “celano contenuti dimenticati ora da riscrivere.
Le sue opere aderenti alla purezza del bianco adeso alle pagine incamottate dei ‘libri
veri’, sono una risposta alla sintesi estrema del colore, alla ricerca della forza della luce
e di nuovo racconto, dove il soggetto letterario, privo di legami col testo celato, è
proiettato dall’osservatore attraverso un contesto immaginifico.” (6)
Da sempre ogni libro con le sue parole ha il merito di condurre l’uomo verso un mondo
immaginifico di riflessione, contemplazione, ma anche e soprattutto di creazione. Da un
testo può nascerne un altro e così via. Il flusso di pensieri e parole non esala il suo ultimo
respiro con la fine della lettura di un volume, ma continua a vivere in diverse nuove realtà.
A questo punto ci si potrebbe chiedere, se una volta spogliato della parola e invaso da una
coltre bianca di colore, il libro possa ancora muoversi in questo continuo flusso creativo.
Svuotato del suo contenuto esso non è stato condannato a morte, bensì ad una nuova vita.
I testi quando giungono nello studio di Lorenzo Perrone hanno già vissuto la loro vita
all’interno di quel ciclo creativo; annullandone il loro contenuto preesistente
immergendoli nel colore bianco, simbolo universale dell’atto della creazione, l’artista li
prepara per un nuovo viaggio senza fine. Così in opere come Trilogia, un libro genera un
libro che a sua volta ne genera un altro ancora, proprio come dalla lettura di un volume
può nascerne l’idea della scrittura di un altro, allo stesso modo di una persona che ne dà
alla luce un’altra e così via, è la vita.
L’intervento dell’artista si costruisce sulla base di un processo metodico che si svolge per
fasi: una volta scelto il testo da utilizzare, egli procede con un elaborato e lento processo
di indurimento e deformazione delle pagine con acqua, colla e gesso, terminando infine
con la stesura di una vernice acrilica bianca. La manipolazione delle pagine dei manuali
e l’inserimento di altri oggetti rispondono al desiderio dell’artista di voler raccontare una
storia diversa. Il libro privato del suo passato narra di un nuovo presente con una veste
bianca, simbolo di luce e creazione. Egli “opera per uno spostamento dalla dimensione
semantica a quella simbolica, e questa riconfigurazione viene spesso affidata alla
composizione tra il libro ed oggetti apparentemente estranei. Il volume del libro viene
plasmato, aperto e traslato verso un accentuato simbolismo in cui le suggestioni tattili e
sensoriali si amplificano, come le associazioni tra segni e immaginari differenti.” (7)
Prendiamo ad esempio un’opera come la Crocifissione, qui il libro assume l’aspetto
simbolico di un sudario, posto in posizione verticale, percorso dal moto ondulatorio
minimo delle pagine e trafitto da tre chiodi. La semplicità del gesto immerso sulla
superficie immobile e candida del libro invade il campo semantico portando con sé un
messaggio di intenso dolore, che nella potenza del bianco trova la possibilità sia di
estendersi nello spazio sia di trasformarsi in energia. (8) “Chiodi spropositati trafiggono le
pagine di un libro come un Cristo in croce, rammentandoci che anche noi in fondo siamo
dei ‘poveri cristi’ inchiodati alle nostre vite miserande, destinati alla morte.” (9)
Denudati di parole, spogliati di figure e di titoli i ‘non-più-libri’ di Lorenzo Perrone
vengono tramutati in qualcosa di completamente diverso. L’oggetto ‘non-più-libro’ viene
presentato in una veste ritrovata di essenzialità, combinato ed associato ad elementi di
diversa natura, esso si trasforma in opera plastica. Le pallide pagine si muovono come
anime alleggerite dalla plumbea zavorra del loro verbo, in un nuovo contesto, con un fine
artistico-didascalico l’artista trasfigura volumi di ogni specie e dimensione in candide
effigi scultoree, conferendo loro consistenza di simbolo o di metafora nel richiamare
importanti avvenimenti e concetti fondamentali. (10)
Solo in Totem 150 si astiene dal rendere ‘muti’ i libri utilizzati. In quest’opera, voluta e
pensata in occasione di Artelibro, Festival del Libro d’Arte per celebrare il
centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, Perrone utilizza 150 volumi,
posizionandoli l’uno sull’altro verso una vetta metaforica, scelti tra quelli che hanno
segnato la crescita culturale del nostro paese e pertanto simboli identitari: La Divina
Commedia di Dante, Il Decamerone di Boccaccio, Il Cantico delle Creature di San
Francesco, Le avventure di Pinocchio di Collodi, Le tigri di Mompracen di Salgari, Cuore
di Edmondo De Amicis, I Promessi Sposi di Manzoni, Lettere dal Carcere di Gramsci,
Cultura e vita morale di Croce, Memoriale di Paolo Volponi, La Storia di Elsa Morante,
Lettere a una professoressa di Don Milani, Ragazzi di vita di Pasolini, Mistero buffo di
Dario Fo, Tre poesie e alcune prose di Roberto Roversi, Cappuccetto verde di Bruno
Munari e alcuni più recenti come Ti saluto mio secolo crudele di Ceronetti, Gomorra di
Roberto Saviano e altri 132 tra i quali il Dizionario della Lingua Italiana e una copia
della nostra Costituzione. (11)
“Il vertiginoso totem bianco si tinge di un’aurea metafisica, come dice Perrone: ‘il bianco
che tutto ricopre, magica somma di tutti i colori ed estrema misura di sintesi, fa sì che
ogni libro bianco, colto nella sua essenza, gridi in silenzio per essere letto altrimenti’.” (12)
L’opera si presenta allo spettatore come un totem calato nella contemporaneità le cui
fondamenta sono da rintracciare nella storia culturale del nostro popolo, a rappresentare
una sintesi di pensiero, scrittura, evocazione che ci fa riflettere sul nostro cammino
passato, presente e futuro guardando verso una vetta alla quale potremmo aggiungere di
volta in volta un libro bianco in più. (13)
Abbiamo già detto che il protagonista del lavoro di Lorenzo Perrone è il libro considerato
nel suo aspetto totale di essenza fisica, nel suo formato, nella copertina, nelle pagine, nella
carta.
Questi elementi costituitivi giocano un ruolo strutturale nella composizione, ricoperti da
un velo bianco impenetrabile di luce, essi sono gli agenti che determinano l’aspetto
simbolico nell’opera, il significante e il significato, l’andamento critico, la sua direzione
invisibile nel nuovo visibile. Così un volume spalancato si fa mare aperto con il moto
ondoso simulato dalle sue pagine, ove un naviglio arranca mal sicuro (La mer); un testo
a pagine dispiegate evoca il gonfiore arioso di una fisarmonica nella composizione di un
motivo malinconico (Bandoneon); o ancora i resti di un testo squinternato con pagine
strappate grossolanamente, ci riporta ai Desaparecidos di ogni dittatura; mentre un tomo
avvolto da una grossa catena e bloccato da lucchetto chiuso denuncia i grotteschi soprusi
di qualsiasi censura (Proibito). Una profonda e feroce ferita lacera le pagine del bianco
libro, come una critica spietata dilania un’inerme pubblicazione fresca di stampa
(Stroncato). Nell’opera Maternità, un libro rappresenta con inevitabile impudicizia lo
spasmo del parto, dalla cui dilatata cavità si affaccia un libricino nascente; mentre in
Mater emerge il sentimento di dedizione totale nell’amoroso libro-madre che raccoglie in
sé, come in un abbraccio protettivo, l’infante-libro generato. (14)
In Anna Politovskaja, un Libro bianco realizzato in occasione di una mostra dal titolo ‘Il
mio canto libero’ tenutasi a Firenze nel 2013, l’artista carica il suo ‘oggetto-prediletto’
della potenza del ricordo. Egli trae ispirazione dalla sede designata per la sua esposizione,
la Libreria Nardini, sita nel complesso dell’ex carcere fiorentino delle Murate, tristemente
noto in quanto centro di raccolta e tortura di partigiani, prigionieri politici e dissidenti
durante la Seconda Guerra Mondiale. Pertanto il tema trattato è proprio quello della
libertà di stampa e della censura. L’opera sopra citata incentra la sua riflessione sulle
vicende legate alla figura di una giornalista russa, Anna Politkovskaja; i fori dei proiettili
che trafiggono le bianche e immacolate pagine e gli occhiali spezzati fusi, come in un
tutt’uno indivisibile, sulla superficie del libro, narrano del triste epilogo della giornalista,
assassinata per la sua battaglia di verità sulle vicende che colpivano la Cecenia in quegli
anni. Il candido silenzio delle parole, scomparse negli strati di gesso e pittura, urla per
dare voce ad un ‘canto libero’, urla per ricordare e non dimenticare, urla contro la violenza
e i soprusi dell’ignoranza umana. (15)
Diventati veicoli di messaggi, di sentimenti, i libri trasfigurano la loro canonica realtà per
accedere ad una dimensione altra di senso che non permette di raccontare di una sola
storia, come vorrebbe l’universale funzione di un libro, ma apre le porte dell’immaginario
alla visione di più storie in un movimento circolare che parte dall’opera, arriva all’occhio
e alla mente del fruitore, e ritorna all’opera e così via, arricchendo e ampliando così la
sua essenza diramata in milioni di esistenze. Perrone nei suoi libri parla di amore, odio,
violenza, religione, politica, vita, morte, tutti temi che toccano l’uomo nel suo aspetto
materiale e immateriale; pertanto il libro bianco vuole manifestarsi come un luogo di
attesa, di riflessione, di raccoglimento nato dall’azzeramento, dalla cancellazione totale
di un'unica realtà preesistente. Attraverso questa operazione l’artista vuole indicarci una
sua direzione alla ricerca di un suo bisogno, di una sua necessità, presentando di riflesso
al fruitore una possibile chiave di lettura, ma non la sola e unica.
Il Libro bianco di Perrone non si configura soltanto come un’opera plastica, come una
scultura vera e propria e null’altro, può assumere diverse declinazioni, può essere quadro
nella sua orizzontalità, o installazione nel suo tentativo di voler invadere e coinvolgere
una spazialità più ampia. Nel 2013 l’artista realizza un’installazione site-specific per il
giardino d’inverno del Grand Hotel Majestic già Baglioni in occasione di Arte Fiera 2013
a cura di Eli Sassoli de’ Bianchi, dal titolo In volo. Qui, i Libri Bianchi, liberati dal peso
delle parole, sono appesi a fili invisibili e sospesi capovolti, richiamando, da un punto di
vista formale, il volo libero dei gabbiani. “Un burattinaio invisibile (il fato o forse il vento)
ne sancisce le dinamiche di movimento, in una ‘danza’ casuale e leggera che cattura il
nostro sguardo e ci fa partecipi di una atmosfera di un tempo, leggiadra e vagamente
onirica in perfetta armonia con la raffigurazione trompe l’oeil di un après-midi mondano
‘en plein air’ di primo novecento che l’artista Luca Guenzi ha, a suo tempo, raffigurato
sulle pareti tutt’intorno.” (16)
Un volo di bianchi gabbiani metafora di un volo di pensieri che ognuno di noi è libero di
scrivere simbolicamente nel candore delle pagine fluttuanti, le quali assurgono a
contenitori di nuove idee, già elaborate ma non ancora codificate. ‘Verba volant-scripta
manent’ ebbero a dire i nostri antenati. Perrone pare invitarci, tramite questa installazione,
a lasciare i nostri pensieri liberi di volare.” (17)
Tutta l’opera di Lorenzo Perrone ci permette di entrare in un luogo nuovo. La ricerca
tormentata e ossessiva di un biancore illuminato e illuminante, che prende corpo e si
sviluppa all’interno di una serie di indagini svolte nel presente e nel passato, arricchendosi
gradualmente ed in crescendo, in un apparente silenzio, prodotto dalla potenza del gesto
di azzeramento del bianco, ma ricco in realtà di una pienezza nuova e mutante, non più
strettamente legata al finito del visibile e per questo vestita del velo bianco dell’eternità. (18)
I suoi libri-oggetto vengono realizzati bagnando nel gesso vecchi volumi trovati nei
mercatini, abbandonati per strada, lasciati a deperire; l’operazione condotta con il gesso
è significativa, oltre ad essere il procedimento scelto dall’artista per l’esecuzione delle
sue opere, essa rappresenta simbolicamente un gesto attraverso il quale il libro ingessato
si trasforma in un calco di un’idea che si è sovrapposta al testo primario. “L’idea è
solitamente in lampo poetico, dietro cui si nasconde una riflessione sulla vita, il mondo,
la natura, la cronaca, gli affetti umani. L’ombra gessosa del libro offre il destro a poesie
visive tridimensionali, immagini plastiche poeticamente suggestive, ottenute sempre con
la carta o altri materiali dipinti rigorosamente col gesso diluito nell’acqua.” (19)
Gli oggetti che inserisce dopo aver trasformato il libro in un libro-bianco aggiungono un
significato, funzionando di per sé poeticamente, un senso senza il quale, il ready-made,
sarebbe soltanto un libro, privo sia di titolo che di testo. (20)
“La poesia dell’arte rinasce dalla sepoltura di un libro: dal sepolcro della cosa fiorisce un
pensiero poetante che nelle forme oggettuali di un’arte poverissima procede alla ricerca
di una spiritualità tanto radicale quanto purificata.” (21)
INTERVISTA A LORENZO PERRONE
L’incontro con Lorenzo Perrone si svolge nel suo studio di Firenze il 7 marzo del 2014.
Vengo accolta con un’infinita gentilezza che, noto subito, si sposa elegantemente con la
folgorante luminosità dei Libri bianchi, che ci circondavano in una sorta di horror vacui
nel piccolo e raccolto studio. All’interno di questa atmosfera dipinta esclusivamente di
bianco, un colore carico di una moltitudine di suggestioni, iniziamo la nostra
conversazione sulla sua arte immersi totalmente in essa.
Quando e come nasce il libro bianco? Cosa la spinge a cominciare questa ricerca.
Non lo so bene neanche io. Forse non è la risposta, ma posso cominciare così. Io ho
un’estrazione pubblicitaria, nasco dalla pubblicità. Ho fatto la scuola dell’Umanitaria e
una di pittura quando ero giovane, poi per vari motivi familiari mi sono ritrovato a fare il
pasticciere per cinque anni.
Mentre facevo il pasticciere ho sentito il desiderio, la voglia, la necessità di dipingere,
non dico di fare l’artista ma di esprimermi in modo creativo. Ho lasciato il lavoro di
pasticcere e ho iniziato a lavorare nella pubblicità, grazie alla formazione che avevo
ricevuto presso la scuola dell’Umanitaria, nella quale si insegnava una professione
“artistica”, il tipografo, il rilegatore, il grafico, il pubblicitario. Avendo fatto quel tipo di
studi mi è risultato più semplice trovare un lavoro da artista pubblicitario, e ho iniziato a
fare il grafico in Italia e all’estero, in Inghilterra, Francia e America. Mi sono occupato
sempre di grossi clienti creando delle necessità che alla base non esistevano, per creare
queste ho usato parole, colori e immagini. Tendenzialmente sempre tante, tante parole,
tante immagini, tanti colori. E nonostante ci fosse una parte di me che voleva fare il
pittore, lo scultore, l’“artista”, continuai comunque in quegli anni il mio lavoro da
pubblicitario. Per diversi anni ho usato e abusato delle immagini, dei colori, delle parole
per creare dei bisogni. Ad un certo punto ho deciso di fare il creativo, l’artista, come
dicevo io, ed è nato il libro bianco, anzi prima di tutto è nato il bianco. E qui è la difficoltà:
il bianco non è nato, c’è stato un ritorno. In mezzo al bianco ci sono sempre stato,
considera che mio nonno era un cuoco, mio padre e mio zio pasticcieri, ho sempre vissuto
in mezzo alla farina, sono sempre stato nel bianco, ci sono vissuto dentro. Infatti sono
andato a cercare i miei primi lavori da ragazzo, erano molto chiari, molto luminosi, c’era
pochissimo colore. Quindi tornando alla tua domanda lasciata la pubblicità sono tornato
a esprimermi rispondendo alle mie necessità: ho ridotto le parole, anzi le ho tolte, ho
ridotto i colori, o se vuoi li uso tutti perché il bianco li contiene tutti, quindi con il bianco
non faccio distinzione, metto tutto. E forse finalmente cancellando, togliendo le parole,
togliendo i colori, togliendo le immagini, ho cominciato a dire quello che voglio, quello
che volevo, quello che penso. Grazie al libro bianco cerco costantemente di dire la mia
sull’amore, sulla politica, sulla vita, sulla morte, sulla religione. Lo facevo anche prima
perché per vendere un detersivo, una pastina, o un sugo, tu ricorri sempre all’amore, alla
religione, cioè tocchi sempre dei tasti che riguardano i vari aspetti della vita, in questo
modo continuo a toccarli ma come voglio io, sono il creatore e il committente allo stesso
tempo. Quindi la battaglia non è con un altro, ma con me stesso, convincere me, chiedere
a me stesso se sto riuscendo a dire qualcosa, se la sto dicendo male, se sto dicendo delle
bugie.
Per me la tela è molto misera, limitata, mentre il libro è ampio, è tanto, è enorme. La
dimensione del libro non è limitata alle sue misure, non ha confini, è grande, allora io ho
la possibilità di spaziare molto di più. I confini purtroppo ci sono comunque, ma sono
dentro di me non nel libro.
Nel suo lavoro dei Libri Bianchi sceglie un testo in particolare o la scelta è del tutto
casuale?
La scelta del libro è sempre legata al formato e al tipo di carta. Io funziono così, sento
molto gli stimoli del giorno, quello che leggo, quello che vedo, nel bene o nel male mi
stimolano molto e mi suggeriscono la necessità di voler dire qualcosa, di creare un nuovo
libro. Una cosa che mi fa soffrire o che mi rende felice io la racconto con un libro. Cosa
cambia? Niente! Però devo dire che mi fa star bene. I miei libri bianchi fanno stare bene
la gente.
Ma perché proprio il bianco? Nel momento in cui si decide di voler cancellare una
realtà preesistente, di annullarla, si potrebbe scegliere il nero o altri colori. Una
coltre di colore a prescindere nasconde, occulta, ma la scelta di una determinata
tipologia cromatica risponde strettamente ad un’esigenza interiore. Quindi, in
questo caso, perché il bianco?
Il bianco è uno dei colori più difficili da trattare. Il bianco è assoluto, è luce, è vita. Prima
della creazione io riesco a immaginare solo una cosa buia illuminata forse solo dalle stelle
e basta. Ecco poi ad un certo punto è arrivata la luce, è arrivato il bianco, ha alleggerito
questa oscurità, man mano c’è stata sempre più luce e poi, come per miracolo, è nata una
pianticella. E in questo io vedo il potere del bianco, che è quello di creare.
E poi c’è un altro aspetto, il bianco è difficilissimo da realizzare, i miei libri sono bianchi
ma se tu li guardi bene sono colorati, le ombre sono colorate, le parti in luce hanno un
colore. Il bello è che poi durante la giornata il colore dei libri bianchi cambia perché la
luce non è mai uguale.
Nel momento in cui sceglie il libro e svolge delle azioni su di esso, inserire ad esempio
chiodi, spine o altri oggetti, quanto è importante mantenere un contatto con quella
che era l’identità originaria del libro, se la mantiene o vuole essere totalmente
cancellata, quanto è importante questo aspetto e come si manifesta.
Nessuna. Io scelgo il libro, come dicevo prima, dal formato perché voglio raccontare una
storia, voglio affrontare una problematica e allora immagino un libro di certe misure,
grande, medio, piccolo. Quindi prima di tutto il formato. Premetto, tutti i miei libri hanno
la copertina rigida, perché hanno bisogno di un supporto, dietro questa copertina c’è un
tassello di legno che sorregge, che tiene fermo il libro. Quindi io lo scelgo per il formato
e per la carta, amo le carte porose, non ‘bianche bianche’ ma un po’ gialline, ocra, colore
del guscio d’uovo. Il contenuto originale del libro non mi interessa, perché quando i libri
entrano da me hanno già vissuto la loro vita. Li compro nelle bancarelle per un euro, la
maggior parte me li regalano, molta gente se ne libera con gioia perché non ne può più,
non ha spazio, non ha voglia. Il libro quando arriva da me ha finito un suo ciclo, io gli do
nuova vita, e allora non mi interessa se era un romanzo, una sceneggiatura, ovviamente
non mi regalano libri importanti o di valore, li osservo attentamente prima di cominciare
le mie operazioni.
E così inizio la mia ricerca, non mi interessa il loro contenuto, vado oltre. Se mi capita ad
esempio un libro di Robinson Crusoe tra quelli che mi regalano, lo metto sicuramente da
parte, ma altrimenti vado e comincio la mia battaglia poiché il contenuto mi è del tutto
indifferente. Ho molto rispetto del libro in sé e del contenuto, ma quest’ultimo non è il
punto di partenza del mio lavoro, come detto prima li seleziono sulla base del formato e
sulla tipologia di carta.
Considerando quello che oggi può significare cancellare, un atto di negazione,
possiamo affermare che sotto la coltre dei libri bianchi si nasconde un’idea di
sabotaggio, o forse è una definizione troppo azzardata?
Capisco la domanda, ma credo che questo aspetto si possa applicare più ad altri artisti,
Isgrò per esempio.
No nel mio caso non si tratta di sabotaggio, al limite si tratterebbe di uno sterminio, una
morte totale, di un’uccisione completa, ma no io non mi sento in colpa, gli do una nuova
vita, li porto più in là. È chiaro che se fossi l’autore di questi libri potrei eventualmente
risentirmi ma non mi pare il caso, perché io li copro tutti di bianco, quindi non ho né una
prevenzione contro quel libro né intervengo su certi aspetti del libro, no! Lo rifaccio
totalmente, me ne approprio, in un certo qual modo il libro racconta un’altra storia
autosufficiente, completa. Pertanto non intervengo a metà, non lo prevarico sotto certi
aspetti piuttosto che su altri, lo prevarico totalmente. Il mio è un rifacimento totale. Non
è una censura, anzi direi che uso il libro per censurare, per dire, per accusare. Il mio lavoro
ha una percentuale di esteriorità più forte.
Una definizione del cancellare, del nascondere per Lorenzo Perrone.
Questo nascondere io lo vivo come occultare, quindi io lo vivo in modo negativo, mentre
il cancellare lo vedo meno negativo. Perché nascondere? Questo gesto mi fa pensare a
qualcosa di ostile, io nei miei libri bianchi non nascondo, anzi uso il libro per evidenziare
qualcosa. Per esempio in uno dei miei libri dal titolo J’accuse (Fig.63), dedicato a
Saviano, è costellato da una serie di spuntoni di matite appuntite, che pungono, fanno
male, feriscono, come le sue parole, i suoi racconti. Pur usando un bianco totalizzante
sulle parole in effetti le evidenzio, è come se prendessi un libro e lo evidenziassi parola
per parola, riga per riga, paragrafo per paragrafo. Usare il libro come un grande ed enorme
evidenziatore che è la vernice bianca.
Si! Era una bella domanda, non mi era mai stata posta, e non ci ho mai pensato bene, ma
almeno in questo momento se dovessi dire cosa faccio con il bianco è utilizzarlo come un
grande evidenziatore, mi permette di mostrare il mio punto di vista su un argomento, su
un fatto, su un aspetto della nostra vita quotidiana.
Per esempio un libro come quello dedicato ad Anna Politkovskoja, giornalista russa che
è stato uccisa, gli occhiali rotti e i cinque proiettili mi ricordano lei, mi trasmettono
l’angoscia, il dolore, la sofferenza della sua morte; ecco in questo libro il bianco evidenzia
la vita di Anna, del suo pensiero, la sofferenza, il dolore.
Cos’altro dire del bianco? Io ci vedo un grande potere. Un libro rosso o blu mi fa pensare
ad altre cose. Il colore in un certo qual modo indirizza, limita. Il libro bianco non ha un
significato così preciso e più universale, lo possiamo interpretare in tanti modi, ecco
perché io uso il bianco. Oltre tutto il bianco permette a chiunque osservi un mio libro di
scrivere la propria storia, può seguire la mia storia, la mia provocazione, ma altrimenti lei
lo vede e scrive la sua. Tutti noi dentro abbiamo delle storie che vorremmo scrivere. Mi
piacerebbe molto che qualcuno vedendo un mio Libro bianco leggesse la sua storia, non
la mia.
In un articolo che trattava di una sua mostra a Milano il curatore Giovanni Serafini
riprende un’affermazione di Barbara Tuchman “i libri sono l’umanità stampata”.
Pertanto potremmo sostenere che i libri bianchi sono lo specchio di una società che
dovrebbe ‘sbiancarsi’, partire da un personale annullamento per scrivere la propria
storia.
Certo, certo. Beh questo è quello che avviene, come le dicevo, quando prendo un libro,
che quando diciamo arriva da me ha terminato il suo viaggio, io lo rivesto di bianco e
riprende a viaggiare. Esce dal mio studio va in casa di qualcuno, va in una galleria, su un
tavolo, in una parete, e ricomincia a trasmettere delle emozioni.
Più che una pulizia, perché per me non c’è nulla di sporco nel libro, si tratta di una
rinascita, una nuova vita. D’altra parte il libro è come una persona. Un signore di 80 anni
ha vissuto tante vite, tanti cambiamenti e allo stesso modo io faccio rivive al libro più vite
attraverso il bianco che rappresenta la rinascita, la luce, il cambiamento, un’evoluzione,
una crescita. Il bianco annulla una realtà per volerne creare un’altra, come una nuova
nascita, non voglio criticare nulla, anzi, io non voglio cambiare anche il libro, la sua
funzione semantica rimane, cambio solamente il significato. È un po’ come una persona,
era una persona rimane tale ma, prima, era di destra poi ad un certo punto è diventata di
sinistra, ma rimane sempre quella persona, questo per voler fare un esempio. Quindi il
bianco come un’illuminazione.
Io non voglio negare, anzi, voglio raccontare di quello che siamo stati, gli errori che
abbiamo commesso, non voglio negarli, ecco che allora il bianco mi aiuta a portare avanti
l’idea di una nuova nascita nella quale ci si può migliorare sempre e andare avanti. Il
bianco oltretutto va usato con parsimonia. Per esempio molti pittori stavano attenti a usare
il bianco, e Tiziano e Rubens in particolare sostenevano che il bianco fosse pericoloso
perché rende un po’ più smorti i colori, anche Leonardo stesso utilizzava il bianco con
cautela. Questo per dire che non tutti i pittori hanno amato il bianco. Però per me il bianco
è un poco come quel bambino che dice “ma il re è nudo”. Tutti si uniformano, usano e si
appropriano dei colori, si approfittano delle loro caratteristiche, qualità, della forza di un
colore mescolato ad un altro, però è un po’ come se fosse una finzione, un abbellire, un
rendere piacevole, accettabile; il bianco no, il bianco è quello, ti fa vedere la cosa com’è,
rispetta la forma, l’aspetto dell’oggetto, i colori no, lo abbelliscono, lo nascondono, lo
deformano. Il bianco ti dice “il re è nudo”, è lì ti piaccia o no! Forse è un po’ troppo
definitiva come cosa, ma il bianco è così, assoluto.
Una curiosità, il processo di elaborazione di questi libri bianchi come si svolge.
Prima di tutto lo bagno con un liquido che indurisce la carta e comincio a dargli una
forma. Ogni libro necessita di due o tre settimane di lavoro, è un processo molto lungo,
per cui lavoro su due o più libri contemporaneamente, perché lo devo bagnare, comincio
a manipolare le pagine, usando un liquido che fa indurire le pagine storte, metto dei
supporti per fissarla e poi lo lascio ad asciugare per due o tre giorni, dipende dalla
stagione. Quando ha cominciato a prendere forma poi la ricopro col gesso caolino, il
classico gesso, e poi come ultima mano passo una vernice acrilica. Perché la vernice
acrilica? Perché non prende la polvere, non si sporca, eventualmente è lavabile, ma quello
che è importante prima di tutto è che la vernice acrilica è molto uniforme, e poi perché
essendo non porosa non permette alla polvere di entrare.
Negli ultimi anni mi sono reso conto che il mio medium, la carta, è reperibile, ma siccome
vorrei che il libro esistesse per sempre allora ho cominciato, da un anno circa, a farli di
bronzo. Mi piace molto l’idea che il libro bianco ci sarà nel futuro.
• WHITE BOOKS - Chiara Nicolini, 2016
• THE ANSWER IS BLOWING IN THE WIND - Andrea Kerbaker, 2015
• LA STANZA DEL VENTO - Paola Ciana Negretti, 2015
• IL BIANCO CHE AZZERA - Valentina Spinoso, 2014
• LORENZO PERRONE CELEBRA DANTE - Sergio Risaliti, 2013
• MIMESI - Sergio Risaliti, 2013
• IMITARE L’INIMITABILE - Claudio Di Benedetto, 2013
• SENSIBILI VALORI INTIMISTI - Alessandra Lucia Coruzzi, 2012
• WHITE NOISE - Chiara Nicolini, 2012
• UNA LINGUA STRANAMENTE SILENZIOSA - Vittoria Broggini, 2011
• I CANDIDI SIMULACRI DI LORENZO PERRONE - Giovanni Serafini, 2011
• IL VENTO FA IL SUO GIRO - Eli Sassoli de Bianchi, 2010
• LIBRI BIANCHI DI LORENZO PERRONE - Andrea Kerbaker, 2008
• SE UNA NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE - Italo Calvino, 1979